La storia dell'Icona

www.mirabileydio.it









ss.trinitas

















Circa vent’anni dopo la morte di San Sergio, intorno al 1422, il beato Nikon, igumeno del monastero di Radonez, chiese a Rublev di scrivere, a lode del padre Sergio, un’icona della Santa Trinità, da porre sulle porte regali dell’iconostasi della nuova chiesa dedicata alla Trinità Vivificante.

San Sergio aveva dedicato tutta la sua vita spirituale alla contemplazione della SS. Trinità; si era sforzato di riunire tutta la Russia intorno al suo monastero per riprodurre, nel suo ambiente e nella politica del tempo, l’immagine della Trinità. Il suo intento era che gli uomini, mediante la contemplazione di questo mistero, vincessero l’odio lacerante del mondo. Nella memoria del popolo russo, quindi, San Sergio rimase il particolare patrono, il custode, la guida e l’espressione vivente del mistero trinitario, della Sua Luce e della Sua Unità. Questo mistero si era riversato nel santo e aveva fatto di lui quella pace incarnata, visibile agli occhi di tutti.


L’icona della Trinità di Rublev esprime tutto il messaggio di San Sergio: in colore e in luce appare a noi la sua preghiera vivente e, prima ancora, la preghiera di Gesù: "...perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te..." (Gv 17,21). Rublev riesce a fare sintesi fra la tradizione della Chiesa ed il dono gratuito ricevuto e messo a servizio del popolo dei credenti, per trasmettere l’esperienza della "luce divina". Egli prima ha contemplato con gli occhi della Chiesa il mistero che desiderava "scrivere".

Andrej Rublev

L’icona della Trinità fu "scritta" dal santo monaco russo Andrej Rublev, nato intorno al 1365 e morto verso il 1430.

Rublev fu testimone di un avvenimento importante per la storia del suo popolo: Mosca guidò la liberazione del popolo russo dai Tartari, una liberazione benedetta ed approvata dalla Chiesa, dai metropoliti di tutta la Russia, da San Sergio di Radonez e dai suoi discepoli. Rublev si aggregò alla comunità del monastero di San Sergio (1313-1392), situato nel bosco di Radonez. Egli apprese dalla comunità l’amore per la Santa Trinità, per l’igumeno Sergio, suo padre spirituale, nonché la cura per il monastero e la terra patria. In questo monastero Andrej cominciò a sviluppare il suo talento naturale, l’inclinazione per la pittura, assieme al monaco Danijl Cernij, suo primo maestro, con il quale Rublev pregava e contemplava le icone, preparando il suo ministero di iconografo. Andrej accrebbe il talento donatogli da Dio con un lavoro instancabile e con il cammino dell’ascesi spirituale, fino a raggiungere "l’armonia della composizione e del disegno, la purezza e la leggerezza delle tinte, la musicalità delle figure e la loro interiorità profondamente religiosa... Nelle opere del beato Andrej la profondità della rivelazione teologica del tema è rivolta al cuore di chi prega, di chi contempla l’icona" (A. Trubacev)


Tradizione iconografica trinitaria

L’icona della Trinità di Rublev si inserisce nella grande tradizione iconografica trinitaria. Al tempo di Rublev la Trinità veniva rappresentata sulla traccia del racconto biblico di Genesi 18,1-15, nel quale Abramo ospita i tre angeli pellegrini, apparsi a lui e a Sara per comunicare la promessa divina di una discendenza. Le altre icone bizantine e russe presentavano questo avvenimento con tutti i personaggi e dettagli dell’accoglienza e del pasto consumato dagli angeli ospiti. I Padri della Chiesa cominciarono a ravvisare negli angeli le tre Persone della SS. Trinità. Così vennero raffigurate già in S. Maria Maggiore a Roma (V sec.) e in S. Vitale a Ravenna (VI sec.). A Bisanzio e poi in Russia conservarono questa tradizione. Rublev libera la composizione dai dettagli superflui e concentra l’attenzione di colui che osserva sul profondo tema trinitario dell’icona, dando ad ogni elemento il valore sacramentale del simbolo. Egli sicuramente aveva studiato i temi biblici riguardanti Abramo e le diverse interpretazioni dei Padri, per arrivare ad una interpretazione puramente neotestamentaria della SS. Trinità. L’obbedienza di Abramo, fedele a Dio fino all’accettazione del sacrificio del figlio Isacco, diventa l’obbedienza del Figlio Cristo a Dio Padre, fino alla morte. Il Padre deve consegnare alla morte il Figlio e il Figlio deve vuotare questo calice. L’icona della Trinità di Rublev diventa il modello canonico della rappresentazione della Trinità. Nel 1551 il Concilio dei Cento Capitoli raccomandava agli iconografi di dipingere le icone della Trinità basandosi su questo modello, che definì "l’icona delle icone".

Struttura Geometrica
Come ogni icona, anche questa è "scritta" su una
struttura geometrica precisa, nella quale ogni elemento ha una proporzione stabilita rispetto agli altri e trova il suo posto secondo il suo significato e il suo valore simbolico. Questa struttura dà un equilibrio ed un’armonia a tutta la raffigurazione. Tutta la composizione dell’icona di Rublev è costruita sulla croce, che costituisce la struttura geometrica principale; l'asse verticale congiunge l’albero, la testa dell’angelo centrale, la coppa ed il rettangolo dei martiri. Gli angeli sono racchiusi dentro un cerchio che indica pienezza e perfezione e sottolinea la circolarità degli sguardi d’Amore delle Tre Persone. La mano dell’angelo centrale è il centro della circonferenza che raccoglie le tre teste.
Anche la
coppa, con la testa dell’agnello, posta sopra l’altare, è iscritta in un cerchio. La testa dell’angelo centrale forma la punta del triangolo, la cui base si colloca sulla linea inferiore della tavola-altare. Il secondo triangolo è rovesciato: la sua base superiore posa sulle teste degli angeli laterali e contiene nel vertice inferiore la fessura rettangolare dell’altare, luogo delle reliquie dei martiri. La coppa del sacrificio di Cristo è offerta sui corpi offerti dei suoi fratelli. Lo spazio compreso tra i due angeli laterali assume la forma di un calice che sale dal basso: il Padre e lo Spirito Santo sono coloro che contengono il Corpo di Cristo ed il Suo Sangue.

I Tre Angeli
I tre angeli, perfettamente uguali e tuttavia diversi, rappresentano un solo Dio in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. E’ proprio della Santa Trinità essere una ed indivisibile, nella sua essenza e nelle sue manifestazioni, pur nella diversità delle Persone. Conosciamo il Padre attraverso il Figlio: "Chi vede me vede il Padre" (Gv 14,19). Conosciamo il Figlio attraverso lo Spirito: "Nessuno può dire Gesù Cristo è il Signore, se non per mezzo dello Spirito Santo" (1Cor 12,3).

Gli scettri identici indicano appunto l’uguaglianza del potere, di cui ciascun angelo è dotato. La diversità è data dai colori delle vesti, ma soprattutto dall’atteggiamento personale di ciascuno verso gli altri. Nell’angelo di sinistra è riconosciuta la figura del Padre, nell’angelo centrale quella del Figlio e nell’angelo a destra la figura dello Spirito Santo.

Il Padre
L’angelo di sinistra, il
Padre, indossa un mantello color lilla sopra una tunica azzurra, simbolo della Sua divinità. Il lilla è un colore sfumato, evanescente, quasi trasparente, segno del mistero e della trascendenza. Il suo mantello è appoggiato sulle due spalle, a differenza del Figlio e dello Spirito, perché Egli non è inviato, ma invia gli altri due. Questo suo invio è indicato anche dal piede sinistro, che sembra iniziare un passo di danza. Tutto converge verso di lui, come verso la sorgente: gli altri due angeli, la roccia, la casa, l’albero. E’ statico, diritto, perché questa persona è origine a se stessa, è il segno della maestà ed il riferimento per gli altri due angeli. Il gesto della mano e lo sguardo sembrano affidare una missione al Figlio che l’accoglie, curvo, in senso di consenso. Le Sue mani non toccano la terra-altare, ma la benedice con le due dita alzate della mano destra; Egli non è nel mondo.

Il capo inclinato indica che Egli raccoglie l’offerta amorosa del Figlio.

Il Figlio
L’angelo centrale,
il Figlio, indossa la tunica ocra del colore della terra, simbolo della natura umana assunta nell’Incarnazione; il mantello azzurro è segno della natura divina ed è appoggiato solo su una spalla, perché Egli è inviato dal Padre. La stola gialla indica la missione vittoriosa del Cristo "sacerdote", che ha dato se stesso per la salvezza del mondo ed è risorto.

Il Figlio è appena salito al cielo e sta comunicando con il Padre riguardo alla missione che ha compiuto.

Il suo corpo ricurvo e lo sguardo d’Amore rivolto verso il Padre indicano l'accettazione e la docilità alla volontà paterna.

La sua mano destra, appoggiata alla terra-altare, è la più vicina alla coppa dell’offerta, perché Egli è quell’offerta simboleggiata dalla testa dell’agnello; la mano riproduce il gesto di benedizione del Padre e l’atto di appoggiarla alla terra-altare indica la sua discesa nel mondo, attraverso l’Incarnazione. Le due dita sono appunto il simbolo della sua duplice natura: Egli è pienamente Dio e pienamente uomo.


Lo Spirito Santo
L’angelo di destra,
lo Spirito Santo, indossa sopra la tunica azzurra, simbolo della sua divinità, un mantello verde acqua che è il colore della vita, della crescita e fertilità. Nel campo spirituale il verde è simbolo della forza vivificante dello Spirito, che ha resuscitato Cristo ed ha comunicato al mondo la pienezza del significato della Resurrezione. Egli è colui che dà vita.

Questo angelo ha l’espressione più riservata delle tre persone. La sua figura è più piegata sulla mensa, in atteggiamento di ascolto, umiltà e docilità. Ci rivela un aspetto nuovo dell’Amore, tipicamente femminile: l'accoglienza e la custodia.

La sua mano cadente sulla terra - altare indica la direzione della benedizione: il mondo cui lo Spirito dona Vita.

Lo Spirito sta partecipando profondamente al dialogo divino ed è pronto per essere inviato nel mondo a continuare l’opera del Figlio. Il mantello appoggiato solo su una spalla ed il piede, che sta rispondendo alla danza iniziata dal Padre, sono simboli del suo accingersi a partire per la missione affidatagli: "Quando però verrà lo Spirito (dice Gesù), Egli vi guiderà alla verità tutta intera... dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future" (Gv 16,13).

Altri elementi
Dietro il
Padre si vede la casa di Abramo, divenuta tempio, dimora del Padre e simbolo della Chiesa, sua figlia, perché "corpo" di Cristo, secondo la teologia paolina. La quercia di Mambre è simbolo dell'albero della vita: quel legno della croce sul quale il Cristo ha offerto la propria vita per la salvezza dell'umanità. La roccia-monte dietro lo Spirito è insieme simbolo di protezione , di luogo "teofanico", cioè luogo dove Dio si manifesta e simbolo dell’ascensione spirituale. Il vitello offerto nel vassoio da Sara è diventato coppa eucaristica. L’oro, simbolo della luce divina Il fondo e le aureole (nimbi) d’oro sono simboli della luce divina.
La
luce nell’icona non è naturale, ma spirituale Proviene dalla grazia ricevuta, per mezzo dello Spirito, prima dall’iconografo, nella contemplazione del mistero da rappresentare, poi da chi contempla l’icona con lo stesso atteggiamento di preghiera.


Atteggiamento di Preghiera
Come in ogni icona orientale,
i punti di vista dell’artista e dello spettatore non coincidono; le linee non convergono verso l’occhio di chi guarda, ma, secondo la prospettiva inversa, l’icona si apre a chi la contempla, invitando ad un movimento di avvicinamento verso il punto di vista dell’autore dell’icona. L’atteggiamento giusto di fronte ad ogni icona è quello della preghiera e della contemplazione, come davanti ad una finestra aperta sul trascendente. L’icona non si può dire mai del tutto compiuta; l’ultimo tocco spetta a chi la guarda, a chi si pone innanzi ad essa con atteggiamento di umile ascolto.

L’icona è dialogica per natura, perché ci invita ad entrare in dialogo con il Mistero rappresentato. Vorremmo perciò accogliere l’invito a sederci a tavola con i Tre, con essi partecipare alla sacra conversazione, cogliere e fare nostro lo scambio di Amore e comunione tra le Tre Persone. Vorremmo fare nostro il messaggio di questa icona, che è quello del Cristo di Gv 17,20-21: "Prego... perché tutti siano una sola cosa. Come tu Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato".